Ieri, come ogni primo venerdì di febbraio da una decina d’anni, è stata la giornata dei calzini spaiati.
Un momento dedicato all’inclusione, all’educazione alla diversità ed alla disabilità, che ci ricorda che siamo tutti diversi ma nello stesso tempo persone.
Spesso, le giornate come questa, mi mettono i brividi, un po’ come il 25 novembre…
Da una parte la mia voglia di portare un messaggio, di guardare con tenerezza i miei figli che ci tengono e “si spaiano i calzini”, dall’altra mi chiedo: “ma c’è ancora bisogno?”.
Beh si, in realtà c’è.
Non tanto per i bambini quanto per la società intera.
Ecco, probabilmente sarebbe più per gli adulti la giornata dei calzini spaiati, perchè è da noi che i figli imparano.
Non possiamo pretendere una giornata inclusiva che vada oltre alle diversità se noi “grandi” non siamo i primi a permettere l’integrazione.
Siamo noi adulti a dover dare l’esempio, a superare magari gli imbarazzi che la disabilità può portare, a mediare a facilitare processi d’inclusione che, vi giuro da pedagogista, nella prima infanzia sono innati e normali.
E poi, si perdono.
Si perdono perchè la società adulta la diversità la addita, non la vede come momento di ricchezza ma come fatica, come perdita di tempo e “rallentamento”, se non addirittura “pericolosa”.
Perchè per noi adulti è più facile non guardare, girarsi dall’alra parte e pretendere un omologazione che facilita, apparentemente, le cose.
In questo modo i nostri figli faranno lo stesso: tireranno avanti, mirando alla competizione, all’essere il primo sul podio, lasciando indietro chi è più lento e perdendosi la possibilità di vedere la ricchezza che è nell’altro.
Mirando alla prestazione ed al primeggiare e perdendo di vista l’essenziale.
Come del resto si fa negli ultimi anni.
A quando i calzini spaiati per noi adulti?